Il quadro dello psichismo e delle sue “perturbazioni” non si presenta identico nei vari contesti: si scopre che presso determinate popolazioni “esotiche” si producono stati mentali che, almeno ad uno sguardo occidentale, appaiono pressoché sconosciuti, e comunque “patologici”, limitati in effetti a quelle popolazioni. Il che apre il problema della possibile diversità delle perturbazioni psichiche nei diversi contesti e della possibile non universalità delle “grandi psicosi”, come ad esempio la schizofrenia o, per lo meno, delle loro diverse declinazioni locali: in sostanza, il problema del peso delle condizioni di vita e di cultura sullo psichismo, sul definirsi della sua “normalità”, sulle sue “perturbazioni” e, in generale, sul prodursi dei diversi “stati di coscienza”. Ne deriva una convergenza tra quanto emerso dal confronto transculturale sullo psichismo nei vari contesti storico-sociali e la crescente evidenza generale dei gravi limiti di una interpretazione dei determinanti della follia e di ogni forma di alterazione mentale in termini meramente biologici: in sostanza, la necessità di ripensare radicalmente la nostra psichiatria, i suoi modelli eziologici e le sue stesse pratiche di intervento − sempre oscillanti fra la esclusione e la farmacoterapia −, nonché le direttrici e i terreni di una efficace strategia di prevenzione delle varie forme di disagio psichico
Il Corso darà quindi attenzione conoscitiva non soltanto alle diversità locali delle perturbazioni psichiche ma anche alle diverse interpretazione e alle diverse risposte che a tali perturbazioni vengono localmente date: l’attenzione, cioè, alle cosiddette “psichiatrie native”. In questa seconda prospettiva, il termine etnopsichiatria viene a significare in qualche modo un corpus eziologico-terapeutico rivolto alle perturbazioni mentali, esaminato e interpretato nel suo radicarsi in uno specifico contesto socio-culturale, cioè come “prodotto storico”: e in questa seconda prospettiva (almeno in termini “emic”) dobbiamo considerare etnopsichiatrie − cioè sistemi istituzionali di interpretazione e risposta alle perturbazioni psichiche − non solo quelle “esotiche” ma anche la stessa psichiatria occidentale (che appunto in questo senso è anch’esso una etnopsichiatria). Peraltro − nell’ambito del fenomeno della globalizzazione − lo studio delle cosiddette “psichiatrie native” e l’evidenza di taluni loro significativi successi, stanno aprendo anche nel terreno psichiatrico quel difficile processo di “integrazione dei saperi medici” che si manifesta vivacemente nel nostro stesso Paese, con i ben noti problemi epistemologici, clinici, psicofarmacologici, formativi e normativi che ne conseguono.